di Souad Sbai
Il governo del cambiamento non cambia, nel senso che continua a non cambiare niente, anche sul fronte della politica estera e di sicurezza, dove l’Italia prosegue nella sua deriva filo-islamista.
Nella Relazione sulla partecipazione dell’Italia all’UE presentata al Parlamento, l’esecutivo Conte intende “continuare ad assicurare sostegno al dialogo tra l’Unione Europea e la Turchia”, definendo quest’ultima “un partner strategico in molti ambiti” e l’allargamento della membership europea ad Ankara uno “strumento politico essenziale per garantire il consolidamento della democrazia”.
Si tratta, a ben vedere, della posizione tradizionale della diplomazia italiana in merito all’ingresso della Turchia nell’UE, una posizione che ha già mostrato di essere basata su presupposti errati. È stato infatti l’insistere sul rispetto dei cosiddetti standard democratici comunitari a consentire a Erdogan di smantellare la struttura laica su cui Ataturk aveva fondato la Repubblica turca, rimpiazzando i militari con l’establishment sì civile ma islamista espresso dal suo partito.Ora che il danno è stato fatto, si vorrebbe anche consentire a Erdogan di mettere le mani sulle istituzioni europee. Immaginate il Parlamento con deputati islamisti turchi legati alla Fratellanza Musulmana? Non si tratta di fantasia, è quello che accadrebbe se la Turchia divenisse un paese membro dell’UE. Perché dunque il governo non è intervenuto per cambiare linea diplomatica?
Francia e Germania hanno posto il loro veto a un simile scenario e i negoziati sempre in ballo sull’ingresso nell’UE sono stati finora una leva tattica utilizzata nel complesso intreccio che caratterizza le loro relazioni bilaterali con Ankara.
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